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Uva mitica la Basegana di Bellombra...

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Messaggio  Admin Lun Mag 24, 2010 10:22 am

Sabato 22 Maggio ore 19.00, presso l’Azienda Vitivinicola “La Mainarda” di Emanuele Rigon c'è stato il Brindisi per l'apertura della prima bottiglia di Baseghin alla presenza delle autorità locali e di alcune associazioni adriesi.

Ecco alcune foto di Bruno Spinello e di Paolo Rigoni

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La Basegana, ormai quasi del tutto scomparsa, era un’uva da tavola a buccia rossa (ma la si ricorda anche bianca), che sino agli anni ’60 del secolo scorso, si coltivava in tutte le corti di Bellombra e Panarella. Cresceva con ottimi risultati ai margini degli antichi paleo-alvei sabbiosi, lungo i quali si è sviluppato l’insediamento rurale di questi paesi. Di regola, gli acini avevano un solo vinacciolo; talvolta ne erano del tutto sprovvisti ma potevano comparire anche con due. Naturalmente l’assenza era considera una esotica rarità che la rendeva ancor più pregiata.
I grappoli di Basegana erano custoditi, controllati e conservati gelosamente. Nel momento della maturazione, a bambini e ragazzi era impedito l’accesso perché non avessero a sbecotare. Ne esisteva un florido commercio, come ua da balansa, uva da bilancia, un commercio che, secondo la tradizione orale, la portava sino ai mercati dell’Italia centrale, diffusa da quei commercianti che in Polesine giungevano ad acquistare uve dall’alta resa produttiva, seppure di limitata gradazione, perfette per tagliare vini più consistenti (Inchiesta Agraria, 1882). Molto spesso finiva sulle tavole dei grossi proprietari a titolo di onoranza, sempre e comunque vantata per la sua bontà. I grappoli restanti erano pigiati ed il vino tagliato col clinto perché avesse maggior corpo. Moltissimi sono gli aneddoti di acini prodigiosi, di grappoli gustosissimi, di grandinate diaboliche, di sguaite notturne, di furti miracolosi…

Agostino Gallo, Le dieci giornate della vera agricoltura e i piaceri della villa: “Son buone le basegane le quali, per essere conformi di grossezza, di tenerezza, e di sapore, abbondano anco di vino in copia, per esser debole, e di poco colore, e migliora non poco a compagnarlo con lo croppello, o marzamino” (XVI secolo).

Francesco Antonio Bocchi, Trattato geografico-economico comparativo per servire alla storia dell’antica Adria e del Polesine di Rovigo…: “Pontecchio offre buon vino…, l’uva di Bellombra detta Basegana (uva regia?) gode di una tale quale celebrità” (1879).

Carlo Bisinotto, Monografia agraria dei distretti di Adria ed Ariano in Polesine: “Comunemente la [vite] si tiene appaiata agli alberi lungo i filari delle sistemate campagne; solo alcuni fra i più solerti agricoltori da qualche anno impresero a coltivarla a vigneto. I vitigni che prevalgono si denominano: marzemino, friularo, corbino, corbinello, uva d’oro, pateresco, basegano, padovano, ecc.; da poco s’introdusse il raboso veronese con buon risultato”. (1882)



Uva mitica la Basegana di Bellombra che nei ricordi assume connotazioni da paese di Cuccagna: A l’Ulslèla da Macagno a ghi’iéra ‘na vidara de basgana c’la faséa tanta de cl’ua… ‘Na basganara… Mama che graspi! La vidara la sirà sta’ grossa com’ ‘na piòpa! ‘Na volta émo dito: ‘Dài ca provén a védre quanto vin ca vien fóra. Ben, ora dla fine émo squasi impnì ‘na bòta del du quintai! Po’ a se taiava col friolaro e a ‘gnìséa un vin frisantin ch’el paréa rosolio.”


La Basegana, uva regia, che secondo Francesco Antonio Bocchi godeva di una sua celebrità, così come conferma Bepin Colombo: “Mi raccontava mio zio Marino che quando faceva il militare a Gradisca al mercato vendevano la Basegana di Bellombra: Basegana di Bellombra urlavano i venditori. Era famosissima, venivano i commercianti da Roma a comprarla”.


Gli ultimi esemplari della nostra vite sopravvivono nel Fondo Fornazzo di Vittorio Andreoli e da lì sono state ricavate le barbatelle che, su spinta di Slow Food, sono state messe a dimora a “La Mainarda” tre anni fa, ed entrate ora in produzione.

Luigi Salvini

Una tenda in Riva al Po


La “gente veniva là da loro [a Bosgattia] proprio come andava a Venezia a vedere S. Marco o il Santo a Padova; s’entusiasmava del fiume e delle golene, del pambiscotto e del baseganin” (p. 152), un vino “che la terra polesana fa maturare in piccole oasi a conforto dei nebbioni, delle scalmane e dei guai, è un vino leggero e profumato, un vero elisir. Ma basta un movimento maldestro di chi l’imbottiglia, e l’indegno non troverà più nel goto l’arrubinato nettare, ma un acidulo sberleffo” (p. 184).

***
“Intanto Berardo vagava con la barca come un pirata di stelle; lo scafo alla deriva, diventava una culla; e la bottiglia di baseganin, avvolta con l’erba e nascosta sotto i pajoi, si offriva come una mammella da cui succhiare sogni e sole” (p.22).

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